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Le pellicole fotografiche

Rileggendo la storia della fotografia, ci accorgiamo che con l’avvento del nuovo millennio le cose sono molto cambiate rispetto a ciò che si faceva prima, da un processo di sviluppo chimico si è passati ad uno sviluppo dell’immagine totalmente digitale, dalla stampa fotografica si è passati alla visualizzazione tramite monitor lcd, dal buio delle camere oscure siamo passatti ai computer delle camere chiare.

Un vero sconvolgimento che ha portato ad un allargamento del bacino di utenza di chi fa uso della fotografia e ad un progressivo abbandono delle tecniche così dette classiche, che prevedevano l’uso della pellicola fotografica, oggi diventato un vero prodotto di nicchia.

E’ la pellicola, fedele amica del fotografo del 1900, che piano piano sta scomparendo e sta lasciando il campo all’era digitale, solo chi ha frequentato un corso di fotografia analogico può conoscere la sensazione che si può provare in camera oscura quando sulla carta da stampa prende vita l’immagine scattata.

Il negativo fotografico veniva esposto nella fase di ripresa, quando il fotografo si trovava sul campo per catturare l’immagine, nel mentre faceva prendere luce al fotogramma, si formava la cos’ detta “immagine latente“, che non era ancora visibile, ma già era stata catturata dai cloruri d’argento contenuti nella pellicola.

Il negativo veniva poi estratto dalla fotocamera e alla fase di ripresa si aggiungeva la fase di svluppo, per poter rendere l’immagine visiblile ad occhio nudo bisognava trattarlo con alcuni acidi chimici attraverso i quali era possibile per poterne rivelare il contenuto.
Quindi il rullino, aperto in una stanza totalmete priva di luce , veniva caricata in una sviluppatrice o tank, che non era altro che una scatola buia nella quale si poteva versare il contenuto degli acidi di sviluppo, dopo aver atteso alcuni minuti, nella tank andava inserito anche l’acido di fissaggio che aveva la funzione di permettere alla pellicola di essere nuovamente colpita dalla luce senza essere alterata.

Successivamente alla fase di sviluppo si passava a quella della stampa, infatti la pellicola non era ancora visibile in positivo, ma solo in negativo, per poter vedere i fotogrammi così come ci apparivano nelle stampe bisognava intervenire nuovamente.

La fase di stampa si svolgeva nelle famose “camere oscure” alla sola luce rossa (infatti la caratteristica della carta fotografica da stampa è quella di non essere sensibile al rosso), con bacinelle contenenti sviluppo, arresto ( che in molti casi si trattava semplicemente di acqua), fissaggio e con l’impiego di un ingranditore.

Per poter seguire questa fase fotografica era necessario aver seguito un corso di fotografia avanzato o di stampa in camera oscura, perché il processo non era affatto semplice e vi era la possibilità di manipolare il fotogramma, proprio come adesso succede con programmi di fotoritocco.

Il risultato di tutti e tre i processi fotografici, ripresa, sviluppo e stampa, era la fotografia ingrandita, quella stampa che tenevamo in mano e che era la meta di ogni fotografo, tutte queste fasi potevano essere gestite personalmente dal fotografo, senza che nessun altro agente esterno avesse modo di intervenire.

 

 

 

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